Welfare Pubblico e Welfare aziendale: 1 a 1 palla al centro?
Oggi apriamo il confronto su un tema tanto attuale quanto controverso. I moderni stati di diritto si dovrebbero fondare sul principio di uguaglianza e per questo abbiamo fatto nostro, dal dopoguerra in poi, il concetto di welfare state o stato sociale/assistenziale/del benessere collettivo per ridurre le disuguaglianze sociali. Lo stato è intervenuto per decenni in modo ampio e indiscriminato con pochissimi controlli sull’effettiva eligibilità del richiedente su molti servizi sociali come l’assistenza sanitaria, la pubblica istruzione, le indennità’ di disoccupazione e i sussidi familiari, la previdenza sociale, l’accesso a risorse culturali, la difesa dell’ambiente. La spesa sociale naturalmente grava sui conti pubblici che sono lievitati a dismisura tra gli anni ottanta e novanta. Quando il rapporto tra spesa sociale e crescita del PIL è diventato critico, il sano principio del welfare state è entrato in crisi.
Come intervenire? Da una parte è aumentato il prelievo fiscale, con un sistema di tassazione progressivo che in teoria dovrebbe prendere ai ricchi per dare ai poveri; pia illusione…vediamo tutti i giorni quanta evasione fiscale ed escamotage al limite della legalità’ impediscono questa redistribuzione. Dall’altra, assistiamo ad una progressiva diminuzione, spesso indiscriminata, della copertura dei servizi sociali.
Al centro sta una interessante leva sulla quale ci soffermiamo, ossia la delega ad altri stakeholder sociali per la copertura e la promozione di questi servizi, garantendo ad aziende e cittadini diverse opzioni di detassazione e defiscalizzazione. Il Patto di Stabilità e la legge di bilancio 2017 hanno introdotto modifiche sulle modalità di erogazione, potendo anche contrattualizzare alcuni servizi, è aumentato il paniere di iniziative, si è creata una maggiore correlazione tra interventi sociali e aumento della produttività, si è esteso l’intervento alla piccola e media impresa che restava ai margini di questa innovazione sociale. Qui entra in gioco il welfare company come opportunità della funzione HR e di tutta la governance per rivitalizzare la relazione con tutte le parti del sistema organizzativo, per rilanciare il senso di identità e appartenenza, per consolidare valori ed engagement, per attrarre giovani talenti. Il welfare in azienda copre una serie di benefit e prestazioni che integrano la componente puramente monetaria con lo scopo principale – ci si augura – di rafforzare il patto sociale interno e migliorare la qualità della vita dei collaboratori. Non sapremo mai fino in fondo se questo crescente utilizzo del welfare in azienda sia dovuto ad un vero cambio culturale e ad un profondo intento dell’executive management di creare un “great place to work” o solo ad un mero calcolo economico di efficienza e cost saving. Ai posteri l’ardua sentenza. Forse lo capiremo monitorando la relazione tra disponibilità di investimenti da parte dello stato e travaso nei conti aziendali. Se questo boom di welfare aziendale sarà solo una moda effimera legata al bilancio seguirà le sorti politiche. La prospettiva che vorrei condividere con le direzioni HR e il top management è quella di integrare nei servizi di welfare anche i servizi di wellbeing (non a caso “fare” e “essere”) a supporto della strategia di People care. Il benessere degli individui è strettamente connesso con il benessere dell’organizzazione ed è un ingrediente fondamentale a supporto della strategia di CSR (Corporate social responsability) per la trasformazione e lo sviluppo sostenibile delle aziende grandi-medie-piccole. Le iniziative di welfare aziendale vengono aggregate in diverse categorie. Le più ricorrenti sono: conciliazione tra vita e lavoro, (part time, mensa aziendale, buoni pasto, smart working…); azioni a supporto della diversity per non discriminare (categorie protette, donne, immigrati..); azioni di sostegno al reddito (convenzioni per il consumo; supporto allo studio dei figli, tutela pensionistica integrativa…); azioni di sostegno alla salute (assistenza sanitaria integrativa, check up,…), altri servizi (assistenza fiscale,..), azioni di sostegno alla cultura e alla formazione.
A questo punto vorrei condividere alcuni spunti da due interessanti ricerche sul tema.
Fonte: “Il Welfare aziendale in Italia. Edizione 2017” – Indagine del Prof. Luca Pesenti docente di “Sistemi di welfare comparati” presso l’Università Cattolica di Milano – con Welfare Company e AIDP.
“Prevalgono le aziende di grandi dimensioni…il 18,4 % ha introdotto welfare solo negli ultimi 12 mesi e il movente rilevante è nelle agevolazioni fiscali…per l’81% la spinta è il miglioramento del clima e la riduzione della conflittualità, per il 70,6% è la riduzione del cuneo fiscale, per il 62,3% è l’attrazione di nuovi talenti…sembra soprattutto mancare una metrica e la consapevolezza della necessità di strutturare i risultati…il 35% del campione dichiara di non avere conoscenze specifiche, le piccole imprese segnalano un forte interesse” .
Fonte: da Welfare index PMI, progetto promosso nel 2016 dal Gruppo Generali con un ricco Comitato Guida e la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confprofessioni; scopo dell’iniziativa è diffondere la cultura del welfare aziendale come leva di crescita per le piccole e medie imprese che rappresentano l’80% della forza lavoro del Paese. Dall’ ultimo “Rapporto 2017 e primo rating di welfare aziendale” (Indagine condotta da LUISS Guido Carli) emergono interessanti riflessioni che confermano la presenza di un movimento giovane e in piena evoluzione. Potete scaricare il report integrale dal sito. Mi piace segnalare l’introduzione dell’assegnazione di un rating su scala 1 a 5. Una valutazione che diventa vantaggio competitivo divulgabile e stimola un progressivo percorso di crescita verso l’eccellenza. Sono state premiate 22 aziende che hanno portato le loro iniziative distintive ed originali per diffondere benessere dall’organizzazione ai lavoratori e alle loro famiglie. “Sono imprese con un sistema di Welfare aziendale caratterizzato da ampiezza molto rilevante, orientamento all’innovazione sociale, rilevante impegno economico-organizzativo e sistematico coinvolgimento dei lavoratori”.
In chiusura direi che le priorità emerse da queste indagini sembrano confermare la necessità di diffondere la cultura di welfare, ascoltare più attivamente i beneficiari del welfare, coprire i loro diversi bisogni in modo dinamico e progettare iniziative specifiche, comunicare e aggiornare i collaboratori in modo chiaro e trasparente, fare rete e aggregare le piccole realtà per condividere piattaforme di welfare, sviluppare forme innovative di smart working, introdurre la valutazione sistematica dei risultati con metriche che includano benessere, produttività e sostenibilità.
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