Marketing Automation: una panoramica a 360 gradi
Non esiste una definizione univoca di Marketing Automation, anche se in Italia si comincia a parlarne sempre più spesso, magari accostandola ad i suoi sinonimi – che, in realtà, a ben vedere significano cose più o meno differenti
Marketing Automation: i sinonimi
Si sente parlare di Web Marketing, di Digital Marketing ed, ovviamente, di Marketing Automation. Dove stanno (se esistono) le differenze?
Possiamo dire che il marketing è diventato digitale con l’introduzione dei supporti informatici in senso lato, mentre ha assunto i connotati di strumento capace di sfruttare il web con l’avvento di Internet e dei primi tentativi di utilizzarlo come strumento di marketing – lo stesso dicasi per l’aggettivo “mobile”, riferito a tablet e smartphone.
L’automazione, infine, attiene agli aspetti “programmatici”, ovvero alla capacità di far eseguire a speciali piattaforme software (programmandole mediante un sistema di regole) una serie di attività altrimenti fatte a mano – cosa peraltro impossibile se si considera la portata di un’audience allargata grazie alla pervasività della rete.
Cosa si fa con cosa
Nel Web Marketing si cerca di presidiare Internet ed i social media (una specie di “rete nella rete”), tenendo presenti i motori di ricerca (Google) e la loro logica di classificazione dei contenuti – oltre naturalmente a sfruttare la nuova possibilità che i big del web hanno messo a disposizione del marketing: la pubblicità online a pagamento, incluso il remarketing.
Spieghiamoci meglio: attraverso i canali digitali e gli strumenti (altrettanto digitali) che consentono di utilizzarli, il marketing raggiunge la sua audience (o si fa raggiungere) grazie ad elementi come i siti web ed i blog aziendali, la posta elettronica, i social media, le ricerche su Google e la pubblicità online.
Tutti questi canali, incluso l’email (ormai un tantino “datato” come strumento, ma pur sempre efficace), utilizzano il web ed i suoi collegamenti con i servizi di telefonia mobile; oggi, infatti, un moderno telefono portatile, oltre a telefonare, fa praticamente qualsiasi cosa: consente di inviare e ricevere posta, di navigare in Internet e di utilizzare le app; in più è in grado di connettersi a speciali dispositivi come i “beacon”, di cui parleremo più avanti, ed include la geolocalizzazione.
Con la Marketing Automation siamo in grado di “orchestrare” (e, soprattutto, di personalizzare) tutta la comunicazione di marketing (sia inbound che outbound) effettuata attraverso canali sia online che offline (in rete come nei punti vendita tradizionali, anche grazie ai “beacon”), utilizzando sia i dispositivi “fissi” che mobili.
Inbound e outbound
Un tempo la comunicazione di marketing (e quella strettamente pubblicitaria) era unidirezionale: dall’azienda verso il mercato, da uno a molti; poi le cose sono cambiate, complici anche le nuove normative sul rispetto della privacy (in particolare riferite all’invio indiscriminato di email).
Per la verità anche prima si parlava di un marketing meno “strombazzante” e più discreto (permission marketing, ovvero: ti coinvolgo, però prima ti chiedo il permesso) ma l’avvento del web ha finalmente reso possibile l’Inbound Marketing, quello in cui è il mercato a rivolgersi verso l’azienda.
Come? Fondamentalmente attraverso i motori di ricerca (e la pubblicità).
Dunque, Inbound Marketing significa farsi trovare e questo, a sua volta, significa predisporre siti con contenuti validi e fare in modo che i motori di ricerca non solo li trovino, ma li inseriscano nelle posizioni “alte” della classifica. Anche i social media hanno motori di ricerca “interni” e pagine aziendali ma, per avere un aiutino, sia su questi canali online che su Internet, la pubblicità a pagamento è una risorsa primaria.
In particolare, non solo si può promuovere il brand e rendere più facile agli utenti trovare le nostre pagine, ma si può anche riprendere il discorso con chi ha visitato il sito web aziendale e poi è sparito – ci penseranno gli strumenti di remarketing a raggiungerlo di nuovo con una pubblicità mirata.
In sintesi, una prima attività di Outbound Marketing prepara il terreno affinché i consumatori incontrino l’offerta, così da rendere possibile l’Inbound Marketing, dopodiché parte una nuova fase outbound, in cui l’azienda prende l’iniziativa e comincia a comunicare in modo selettivo e personalizzato con l’audience.
Già, perché oggi abbiamo superato la logica uno-a-molti e stiamo andando verso l’uno-a-uno.
Online e offline
Se online si utilizzano, in modo alternato, canali outbound ed inbound – pubblicità e promozione prima, generazione organica (ovvero spontanea) di contatti poi, ed infine una comunicazione personalizzata che spinga i consumatori ad approfondire e quindi a decidere di acquistare – nell’offline si cerca di approfittare della locazione fisica e del contesto per riprendere la relazione coi propri utenti, così da armonizzare fra loro le esperienze del mondo reale con quelle del mondo del web.
In particolare, si è visto come molti tendano a combinare fra loro la ricerca di prodotti e servizi e la possibilità di farne un’esperienza diretta. Come? Cercando online ed acquistando in negozio (ROPO, Research Online, Purchase Offline) o facendo il contrario (Showrooming), ovvero scegliendo in un punto vendita ciò che si intende acquistare (a condizioni più favorevoli) attraverso l’eCommerce.
Per colmare questo divario tra sistemi distributivi, si utilizzano dispositivi offline come i “beacon”, capaci di collegarsi con le app installate nei dispositivi mobili; il segreto sta nel conoscere prima i contatti tramite lo studio dei loro comportamenti in rete (digital body language), così da presentargli proposte pertinenti, utili ed interessanti – o anche solo dei semplici approfondimenti.
Le app sono un ulteriore canale di comunicazione di marketing, in quanto gli utenti mobili ne fanno un uso molto ampio: spesso, infatti, le app rappresentano l’unico trait d’union tra queste persone ed il web o i social media, prendendo di fatto il posto dei browser e dei motori di ricerca. Alle app, di cui esistono infinite varietà per i più diversi scopi, possono essere inviate notifiche push (un ulteriore veicolo per la comunicazione outbound oltre a SMS, pop-up, banner, email e pubblicità); inoltre le app – in qualità di elemento basilare del Mobile Marketing – consentono di acquisire ulteriori informazioni sulle abitudini degli utenti (inclusi i loro spostamenti nel mondo reale).
Utenti anonimi e utenti registrati
Una volta si partiva unicamente da un elenco di indirizzi email (più o meno affidabile ed organico) e si iniziava con campagne DEM (Direct eMail), ovviamente di tipo outbound; successivamente è sorto il problema di raccogliere in modo corretto i dati di contatto (inbound) – e questo avviene grazie ad una serie di form presenti nei blog e nelle pagine aziendali sul web o nei social media, in modo statico o presentati come pop-up (spesso quando qualcuno abbandona il sito).
L’indirizzo email è solo il primo e più importante dato che conosciamo di un utente registrato (grazie al modulo, infatti, è possibile registrarsi – solitamente per ricevere ulteriori comunicazioni, ma anche per accedere a materiale non altrimenti disponibile), tuttavia occorre sapere molte più cose per stabilire un dialogo utile, pertinente, e – non ci stanchiamo di ripeterlo – personalizzato.
Grazie all’automazione, possiamo però iniziare a raccogliere utili informazioni già prima che un visitatore emerga dall’anonimato, dato che – attraverso i cookie – siamo in grado di tracciarne (legalmente) il comportamento di navigazione all’interno del nostro sito o di quelli di altre aziende partner (terze parti).
In realtà, i motori di ricerca (ma anche gli Internet provider, per non parlare dei social media) sono in grado di “vedere” come si muovono gli utenti della rete; è grazie a questi meccanismi, infatti, che chi propone servizi di pubblicità a pagamento e remarketing è in grado di farlo, inviando messaggi promozionali coerenti col contesto e con i gusti di ciascun utente. Noi, come aziende, al massimo possiamo utilizzare i cookie ed i generatori di codici UTM (un sistema che permette di capire “da dove proviene” un utente che “atterra” sulle pagine del nostro sito).
Praticamente, una serie di tecnologie raccolgono dati di tipo individuale (che potremmo definire una modalità inbound, anche se non esplicita) per poi, sperabilmente, associarli ad un indirizzo email preciso.
A questo punto c’è finalmente una prima traccia su cui lavorare; ulteriori form consentono quindi di approfondire la conoscenza che abbiamo di ciascun contatto registrato (progressive profiling) e di integrarla con quelle ottenute attraverso gli altri canali (mobili, social, blog, ecc.) – il tutto grazie all’automazione. Non solo: è possibile definire regole per assegnare, in modo altrettanto automatico, specifiche categorie ad ogni utente (ad esempio in funzione delle pagine che ha visitato e dei contenuti che ha scaricato); in tal modo effettuiamo una segmentazione dinamica dell’audience.
Infine, ancora grazie all’automazione e ad un sistema di regole, definiamo un punteggio(scoring) – altrettanto individuale – che ci aiuti a stabilire il livello di interesse e di coinvolgimento dei contatti (frequenza delle viste, tipo di materiale esaminato); quindi, sempre automaticamente, utilizziamo tutti i canali disponibili per l’invio di messaggi specifici.
È così possibile tarare il tono della comunicazione sul grado di disponibilità delle persone a riceverla, adeguandola per quanto riguarda contenuti, modalità e tempi di invio.
Teniamo presente che, allo stesso modo, è possibile comunicare anche con gli utenti anonimi – grazie alle pagine web create dinamicamente per ciascun singolo visitatore del quale abbiamo un minimo di profilo grazie alle sue visite precedenti o al percorso che ha seguito per venire da noi (ad esempio se è stato reindirizzato da un messaggio pubblicitario). Quello che abbiamo in più con la registrazione è l’identità e, grazie all’indirizzo email, la possibilità di contattarlo anche grazie questo canale (col suo permesso– opt-in, che però può sempre essere revocato – opt-out).
B2B e B2C
Questa modalità operativa, tipica della Marketing Automation, ha la sua massima espressione nell’eCommerce, ovvero nelle attività promozionali e di vendita tipiche del B2C.
In realtà, l’idea di segmentare e profilare i contatti in base al loro comportamento e proporre loro un messaggio articolato e differenziato, è nata nel B2B, più esattamente per implementare campagne di Lead Nurturing.
Di cosa si tratta? Semplicemente, con l’avvento dei canali digitali, si è pensato di automatizzare alcune attività tipiche della prevendita e passarle al marketing; in particolare, si intendeva preparare dei contatti interessati (lead) per la vendita, educandoli attraverso la somministrazione di contenuti specifici che rispecchiassero il grado di maturazione di ciascuno. E’ per questo che sono nati i primi strumenti per inviare email su base individuale, in funzione delle attività svolte da ciascun contatto (partecipazione ad un evento, visita ad un sito, accesso a determinati contenuti, risposta ad un questionario, ecc.).
Oggi, da un lato il B2B non solo fa Lead Nurturing ma anche Lead Generation (raccolta organica di nuovi contatti), mentre il B2C non solo vende ma cerca anche di formare ed influenzare l’audience attraverso tutti i possibili canali (inclusi i social media) mediante un Content Marketing capace di trasformare i consumatori in “prosumer”, ovvero persone che acquistano online (o anche offline) ma che prima si informano fino a diventare praticamente degli esperti.
Marketing, CRM ed ERP
Sia le Aziende B2B che quelle B2C non si occupano solo di marketing ma, ovviamente, anche di altri processi aziendali (produzione, logistica, approvvigionamento, ecc.) e di vendita. Nel passato, le attività del marketing e quelle della divisione commerciale, anche se non totalmente indipendenti, erano abbastanza separate: il marketing cercava di rinforzare l’immagine del brand e di individuare nuovi contatti ma, prima che questi potessero essere presi seriamente in considerazione da un venditore, andavano opportunamente qualificati(solitamente tramite interviste telefoniche – Telemarketing, un’ulteriore canale outbound).
I “Marketing Qualified Lead” potevano quindi essere a loro volta qualificati per la vendita: diventare “Sales Qualified Lead” ed infine essere inseriti nel sistema CRM (Customer Relationship Management) e, sperabilmente, nella pipeline (potenziali contratti).
Oggi la Marketing Automation è in grado di fare una parte del lavoro di qualificazione e quindi, perché non integrarla direttamente col CRM? In pratica, grazie all’automazione, è possibile collegare tra loro i database di marketing e di vendita, rendendo quindi più agili e diretti i flussi informativi che legano questi due aspetti commerciali: quello della preparazione e quello dell’esecuzione. Non solo: dopo che un contratto è stato firmato e l’azienda ha acquisito un nuovo cliente, non bisogna dimenticarlo in un archivio ma continuare a tenere vivo un rapporto mirato a garantire assistenza, fornire nuove informazioni sul prodotto, fidelizzare e predisporre per ulteriori vendite.
Se questo tipo di esigenza è forse più sentito nel B2B, dove i processi commerciali sono molto strutturati e formali, non è che nel B2C – dove sempre più spesso fa il suo ingresso il commercio elettronico – le cose siano molto diverse anzi, se possibile, le esigenze di integrazione sono persino più ampie.
Ci riferiamo non solo al fatto che vendita e marketing sono l’una l’estensione dell’altro, ma che – entrambe – sono collegate ad aspetti aziendali come la gestione di magazzino o il rapporto con i fornitori. Un esempio può essere costituito da una catena di supermercati o di negozi specializzati: in queste realtà si fa promozione su tutti i canali online, questi ultimi sono integrati con quelli offline, la vendita può avvenire sia in modo tradizionale che elettronico (e, anche nei negozi, i tipi di pagamento sono sempre più informatizzati), l’esperienza utente tende ad essere unificata ed il front office deve essere collegato in tempo reale al back office per conseguire la massima efficienza.
Diventa chiaro che conoscere non solo i clienti ma anche la disponibilità e l’ubicazione dei prodotti è importante, dato che i processi che precedono, accompagnano e seguono la vendita sono collegati.
Per questo motivo, la Marketing Automation viene estesa sia verso il CRM che l’ERP, creando una sorta di meta-sistema aziendale integrato.
Le metriche della Marketing Automation
Da quanto abbiamo visto, è evidente che l’automazione nel marketing è indispensabile per una serie di ragioni che vanno dal rispetto delle normative alla generazione di nuovi lead, dalla contestualizzazione e personalizzazione del messaggio all’unificazione delle esperienze utente multicanale, dall’integrazione con le altre funzioni aziendali alla promozione del brand.
Tuttavia la Marketing Automation che, come ricordiamo, è l’elemento che armonizza una serie di metodologie e di strumenti digitali che utilizzano anche il web per la comunicazione col mercato, ha inevitabilmente un costo – ed i benefici ottenibili, anche se importanti, vanno sempre misurati in rapporto a quello che bisogna spendere per ottenerli.
C’è più che un sospetto che, oltre che indispensabile, l’automazione sia anche efficiente, efficace ed in grado di migliorare la produttività, dunque di influire in modo assolutamente positivo sui profitti ma, poterlo dimostrare in modo oggettivo, è altrettanto desiderabile.
Per questo, gli strumenti di automazione sono dotati anche di una serie di metriche flessibili capaci di misurare in modo preciso il ROI (ritorno sugli investimenti).
Come? La risposta potrebbe essere quasi ovvia: al centro della Marketing Automation (e di tutte le altre funzioni gestionali aziendali) ci sono i dati. Le informazioni del marketing riguardano, in definitiva, le attività svolte dai contatti – incluso quando, quanto e cosa hanno comprato; quindi è possibile organizzare i dati ed estrarne una serie di report da cui valutare, ad esempio, l’efficacia delle campagne in funzione delle email aperte, delle viste al sito, dei post sui social media, ecc.
Oppure, mettendo in relazione le varie attività con i costi sostenuti per utilizzare la piattaforma di automazione (licenze, risorse umane, ecc.) si può sapere, ad esempio, il costo medio di un contatto. Infine, aggiungendo i dati di vendita, si riesce non solo a capire quanto le attività di marketing incidano sul fatturato, ma quanto valgono i clienti in termini di potenzialità commerciale.
In sintesi
In questo post (che, necessariamente, è diventato più lungo rispetto alla media) non abbiamo voluto ammucchiare concetti e termini quasi a volerli stipare in una valigia ma, piuttosto, cercato di offrire una panoramica completa (ed anche abbastanza dettagliata) di tutto quello che oggi va sotto l’ombrello della Marketing Automation.
Aggiungiamo anche che questa è solo una traccia da utilizzare per costruirsi un modello coerente di funzioni e possibilità di questa tecnologia; in realtà esistono molti particolari(tecnici e non) che non c’era lo spazio di approfondire e che andrebbero trattati a parte (per chi desiderasse avere ulteriori informazioni, molti argomenti sono stati già affrontati in questo blog).
Ci auguriamo infine di essere riusciti a chiarire le idee dei nostri lettori e, in ogni caso, se volete saperne di più, contattateci.
Tags: Inbound Marketing, Lead Generation, Marketing Automation, Vendite B2B